Arte. Parola ambigua e spesso associata a un bel disegno spento. Arte. Parola tanto corta quanto ampia di significati e sfumature. Pochi esseri umani ne riconoscono coscientemente l’essenza, gli altri ne sentono le ripercussioni nel subconscio. Si tratta di fermarsi, bloccare il mondo, stare zitti, ascoltare, vedere, toccare. Pittura, scultura, musica, cinema, un universo immenso, in continuo movimento, a volte silenzioso, a volte disperato e stridente. Ma bisogna fermarsi.

L’arte è la mia vita. Il ricordo più remoto sono le canzoncine che mi cantava mia madre. Da quello tutta una serie di flash con pennelli, matite, strumenti musicali, creta, cineprese. Arte, in tutte le sue forme. Una vita dedicata all’arte, a partire dalle medie passando per l’istituto d’arte, fino all’Accademia. Sono immersa nel suo mondo, ogni cellula del mio essere è proiettata verso l’arte. Ogni artista si crea un piccolo ritaglio di paradiso in questo universo capriccioso. Un piccolo ritaglio, che se non controllerà, diventerà la sua prigione. Fu questo il mio errore. Una prigione di cui sei inquilino e secondino. Ti rifugi emarginato ma non permetti a nessuno di entrare. Questa era la mia vita.

Un soleggiato giorno di giugno ricevetti una visita. Un musetto esagitato fece capolino tra le sbarre fatate che mi ero creata. Stava lì, in silenzio. Non giudicava, non criticava, non parlava. Con le sue orecchiette stava in attesa. Il mio papà, senza accorgersene, mi aveva portato la chiave della mia cella.

Fu mia madre che mi ispirò. Non sapevo come trattare quel cosino peloso che sgambettava e scavava curioso nella spiaggia. Lo prendevo in braccio, lo accarezzavo come si accarezza un pupazzo. Era una bestia. Una bestiolina solitaria che come me si occupava dei suoi affari. Non aveva bisogno di me come io non avevo bisogno di lui. Fino a quella mattina di settembre. Quella mattina in cui le sbarre che isolavano il mio cuore si sciolsero come ghiaccio. Fu un solo momento. Entrai in cucina per la colazione e vidi mia madre chinata verso quella pallina di pelo mentre gli cantava una canzoncina. La cosa che mi colpì profondamente fu capire che lui l’ascoltava. Gli occhi socchiusi e un orecchio dritto. Finita la canzoncina fece la cosa più dolce che io abbia mai visto. Le diede un bacino sul naso.

Il coniglietto capisce. Sa distinguere il suono dolce di un flauto dal rombo di una chitarra elettrica. Ha i suoi gusti, le sue preferenze e sa dare il giudizio sincero di un amico. La mia vita da quella mattina ebbe una svolta. Ho capito che il mondo non è necessariamente lo sguardo sprezzante di chi non sa capire. Quando suonavo, dai piccoli scatti del mio patato, intuivo gli errori, le stonature, le improvvisazioni azzeccate, le esecuzioni ben riuscite. All’inizio ero io a cercarlo e a provare vicino a lui. Col passare del tempo, quando prendevo in mano gli strumenti era lui a trottellare da me come per dire “Ha inizio lo spettacolo”. Se suonavo cose che gli piacevano stava lì tutto il tempo, composto e con le orecchie dritte. Appena compariva la chitarra elettrica tornava indispettito in cucina. Ma mi ascoltava lo stesso e mi guardava come per dire: “Tu della musica non capisci proprio nulla”.

I coniglietti non sono semplici bestie. Non li definisco nemmeno animali. Sono esseri che hanno la capacità di intuire il bello e di ricompensare lo sforzo di chi lo espone. Mi ha insegnato a vivere. Ancora è fra noi e mentre io sono a studiare fuori città lui mi aspetta il fine settimana per la nostra consueta serata musicale. Grazie Mummi, per avermi aperto al vero mondo dell’arte che verte in un unico fulcro: l’amore.

Laura

Protty
Protty è stato un coniglietto vissuto dal 1999 al 2005. Nell'autunno del 2000 - col suo amico umano Roberto e la sua compagna Susina - ha dato vita a un sito Web: protty.it, che negli anni è diventato una community che ha raccolto moltissimi appassionati.

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