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WEBBIT 2003
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PROTTY
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Significativo a mio avviso è che questo libro termini in un modo che si può leggere come la radicalizzazione di questa posizione dell’empatia con l’animale, quasi disgregandola ironicamente dall’interno: questo “sentire”, come quello della Costello nel finale, è di fatto assoluto, autarchico, così sciolto dal resto che la parola non riesce a traghettare all’altro le ragioni di questo sentire, e che dunque si può solo sentire a propria volta. E’ qualcosa che non corre sul filo del linguaggio ma su quello immediatamente corporeo, irrefrenabilmente affettivo, e finisce per scatenare la reazione che pare insieme naturalissima ma insieme scadente, che ha il figlio. Il libro si conclude infatti con il seguente dialogo tra la Costello e il figlio, che la sta accompagnando all’aereoporto:
«“E’ stata una visita così breve – dice il figlio – che non ho avuto il tempo di capire come mai ti prendi tanto a cuore la questione animale”.
Lei guarda i tergicristalli muoversi avanti e indietro.
“In realtà – spiega – non te l’ho detto, come mai, oppure non oso dirtelo. […]”
“Non ti seguo. Cos’è che non puoi dire?”
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