Susina è a Zurigo per approfondire i suoi studi su Frits (il Sole, che i conigli identificano con Dio). Per gli amici dei conigli, ecco i diari dalla Svizzera!
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Diari svizzeri I
Non siamo ancora a fine novembre e ha già nevicato tre volte, imbiancando tutto in poche decine di minuti. Può succedere che dopo qualche ora il sole riesca a squarciare il manto fitto di nevischio che, mi si dice, avvolge Zurigo nel suo lungo inverno e improvvisamente dilaghi la luce, velocissima, per una nuova genesi, come Roberto Grossatesta spiegava l'origine del mondo nel tardo Medioevo. Improvvisamente davvero, la città risorge come se qualcuno l'avesse messa a fuoco. Conigli di tutto il mondo salterebbero alla Ginger Rogers se potessero sgroppare sotto un cielo terso in modo così generoso. Si sa che quando la grazia viene di rado la si saluta con maggior commozione.
Supponevo, sperimentando le temperature svizzere, che conigli pur in un riparo, all'aperto non potessero sopravvivere. E invece una delle primissime volte che risalivo la stradina per raggiungere il tram, ho subito visto (si vede solo ciò che si vuole) nell'angolo di un giardino una di quelle tipiche casette in legno a forma di parallelepipedo in verticale, che in area tedesca si vendono per tenere i conigli. Due sagome di razza pezzata erano abbastanza riconoscibili. La sera stessa vengo a sapere che anche nel nostro condominio c'è un giovane coniglietto. Impossibile resistere. Dopo qualche giorno io e la mia compagna di casa (che mostra, detto per inciso, una buona predisposizione alla rabbit slavery, seppur ancora senza consapevolezza, come vuole la dura legge della vita umana) siamo andate a trovarlo. Chipsy è un bell'esemplare di neanche un anno che ha il pelo molto simile alla razza giapponese, dalle orecchie un po' lunghe, per la verità, per esser nano, e che doveva essere, così il commerciante, un testa di leone e ha ora solo il pelo un po' più lungo del normale sul musetto e tra le orecchie. Per quanto timido, lo è sicuramente meno di Protty, perché ha comunque acconsentito a farsi toccare, saltando sul letto, e poi lungamente toccare, in grembo. Chipsy è venuto dopo un altro sfortunato e bellissimo coniglietto, manto nero e pancia candida, che è morto in pochi secondi dopo aver mangiato un paio di aghi di tasso. My Linh lo ricorda con commozione rivivendo lo shock, poco prima di Natale dello scorso anno; il coniglietto sventurato era con lei da neanche un mese.
My Linh ha una splendida terrazza dove Chipsy ha la sua grande gabbia e dove ancora adesso, con un freddo polare, esce per fare i bisogni di tutta la giornata (a parte rarissime palline, che ho potuto constatare di persona). La singolare abitudine è forse da spiegare con la straordinaria plasticità comportamentale che hanno i conigli.
Termino le mie righe del diario odierno raccontando un simpatico episodio che mi è capitato all'ultima mia visita a Chipsy. Per la prima volta e con indicibile stupore della padroncina che guardava ammirata e incuriosita come davanti a ogni nuova manifestazione vitale di un animale, il giovane e caloroso Chipsy ha iniziato a girarmi intorno, sbattendo qua e là le zampe, sempre più furioso; annusandomi e ripartendo, riposandosi ogni tanto lungo e disteso, con il respiro rapidissimo e affannoso, e riprendendo con ancora maggior vigore la sua danza. Chipsy aveva sentito il richiamo della natura, My Linh lo guardava estasiata prodursi nello spettacolo enigmatico dell'istinto e ormai rassegnata (!) ad un ruolo solo materno.
Alla prossima con le Notizie Svizzere Cunicole, l'esclusivo servizio che vi offre la vostra corrispondente del sito di Protty!
Diari zurighesi II. Sulle luci, le finestre e le candeleNel lungo periodo che precede il Natale Zurigo è, nemmeno dirlo, bardata di luci. Volendo evitare immagini iperboliche, direi che l'illuminazione è presente in modo pervasivo, non c'è metrocubo che non sia trasfigurato dalla luce, in modo quasi sfacciato sul lunghissimo stradone della Bahnhofstrasse fino alla Bürkliplatz, dove comincia il lago e nelle giornate serene, oltre i colli, a sud, si avvistano le cime imbiancate. Dalle facciate dei grandi negozi pendono brillantissime tende filanti, e il pezzo di cielo sopra la strada, appena sopra i fili del tram, è stellato come le notti d'agosto; tutto è così chiaro che di giorno, con la costante copertura di foschia di cui si gode qui, di vede certo di meno.
La Bürkiplatz ospita, nel periodo natalizio, un'occasione che attira i numerossimi (non solo bambini) estimatori delle candele. Qui, e generalmente in tutta l'area tedesca, ci sono candele in ogni dove, nei ristoranti, nei bar, nella caffetteria dell'università, sui davanzali delle case, la candela è ovunque. Così come ovunque è l'arte della decorazione, e si intende non quella prescritta dai raffinati negozi di arredamento ma quella spontanea che riempie i davanzali con zucche di ogni dimensione, animaletti in ceramica, o sassi dalle forme particolari, o espone alle finestre i disegni dei bambini, o dà vita al giardino d'inverno con un bel vaso colorato riempito di pigne e rametti di pino. E la ricerca di quest'allegria che attinge da quel che di colorato c'è in ogni stagione, sopratutto nei mesi invernali, la si può certo mettere in relazione con lo stato di privazione che contrassegna i paesi d'oltralpe, senza sole, senza luce, senza cielo (è cielo una lastra cinerina che spiana la volta, chiudendoci dentro?), e proprio per questo il contrasto tra la natura rigida e arcigna e la risposta umana appare più commovente. Oppure quest'allegria è non solo un effetto metereopatico ma anche sintomo di una percezione dove ogni dentro e ogni fuori, l'uomo e la natura, si corrispondono, nell'ambiente, che non è né sola natura né solo costruzione umana. Singolare e significativo particolare che non si può non notare qui come in Germania, è lo scarso uso delle tende per le finestre; e che si esibiscano disegni o coroncine floreali contro i vetri è segno che la finestra è l'immagine della tua casa all'esterno, per gli altri, e che attraverso di essa entra la luce; la finestra non è vissuta come protezione da occhi avidi che dovrebbero essere solo voyeristici, come se le finestre non avessero sempre attratto anche l'occhio della macchina fotografica che le ha ritratte piene di fiori, dalle forme strane, con gli scuri tinti di blu, di bianco, a strisce, con i vetri colorati. Passare per le strade accompagnati dalle luci degli interni, e dai colori dietro le finestre, ingentilisce il buio, e il contrasto produce piacere.
Ma dicevamo delle candele. Stretti nelle due piccole tende, i numerosi entusiasti attendono, davanti a enormi calderoni di cerca d'api fusa, alla rilassante occupazione del farsi da sé le candele, grosse, corte, affusolate, modellate: intingono lo stoppino nel calderone, lo sollevano, lasciano rapprendere la cera appendendolo ad appositi ganci, lo reimmergono, e così fino a che, strato dopo strato, lo stoppino si ingrassa della misura desiderata; lo si recide con un taglio netto nella parte inferiore per dargli stabilità e si porta a pesare.
Il Natale porta anche molti più conigli del solito, nei negozi che li espongono in vetrina in comode gabbie. Ma come ho già avuto modo di dire a qualcuno, qui i conigli non sono un granché e per giunta, sono carissimi. Il Natale porta conigli ma ne porta anche via, come accadrà tra qualche giorno a Chipsy che se ne andrà a Küsnacht, lungo il lago, fino a fine gennaio perché My Linh attraversa anche quest'anno l'oceano, in barba a ogni timore.
Alla prossima con le Notizie Svizzere (più o meno ) Cunicole!
Tornata al lavoro quotidiano dopo la pausa natalizia, ho trovato al mio arrivo il numero natalizio della rivista organo dei coniglicoltori il Germania, la Deutscher Kleintier-Züchter. Vi ho trovato un racconto insolito per un giornale che si occupa prevalentemente di aggiornare gli incontri e le mostre delle varie, numerosissime sezioni disperse per il Paese e informare sulla pratica dell'allevatore; e ancora dentro il cosiddetto "clima natalizio" (questa strana aura che il ciclo dell'anno concede come tregua al nostro disicanto) il racconto mi è piaciuto e ho voluto tradurvelo.
Il coniglio di Natale - di Friedrich Schindler.
Oggi, il pomeriggio della Vigilia, la direzione dell'ospizio aveva organizzato una festa comune, pensata per chi non aveva occasione di festeggiare il Natale con parenti e amici. Questa atmosfera natalizia, quasi forzata, non andava a Walter Zenz. Nonostante si avviasse già verso gli ottanta, si sentiva portato indietro ai suoi anni infantili. Alzare la manina a comando e cantare canzoni stabilite in precedenza non era esattamente il suo gusto. Si dava inoltre il caso che l'acida Liese Schmitt gli sedesse proprio vicino, con quella voce acuta che lo infastidiva. Il suo malessere continuava anche se la signora, proprio perché la giornata era di festa, si mostrava particolarmente carina e gentile.
No, questa non era per Walter Zenz una festa come quelle che ricordava. Allora, quando la moglie era ancora viva, organizzavano questo giorno talvolta con amici, sempre con silenziosa sobrietà. Niente grandi parole, solo musica a basso volume li accompagnava nelle ore. Non c'era paragone con oggi, Walter Zenz si pentì di non aver accettato l'invito della figlia per il lungo viaggio. Il luogo e le persone risultavano sterili e impersonali. Sebbene ci fossero quasi una ventina di persone l'uomo si sentiva solo. Si risolse brevemente a lasciare, senza farsi notare, la sala. Non venne notato perché in quel momento i presenti erano concentrati sulla consegna dei regali che l'assistente distribuiva. A Walter Zenz dava fastidio proprio quello che pareva muovere maggiormente i compagni: il contenuto dei pacchi, incartati uno uguale all'altro, era per loro la cosa più importante in quel pomeriggio.
Si era preso con sé il caldo cappotto invernale; con il tram andò alla stazione. Lì i negozi erano ancora aperti per consentire ai viaggiatori di comprare all'ultimo minuto i regali, per quanto più cari. Si comprò una bottiglia di vino rosso, panini già fatti e un minuscolo albero di Natale ornato con tre palline colorate e due piccole candele. Con queste cose e un po' di musica alla radio, pensava, avrebbe potuto godersi un po' di atmosfera natalizia nella sua stanza. Avrebbe pianto, lo sapeva. In un giorno come questo la solitudine era particolarmente pesante, si diceva, ma era sicuramente meglio che stare tra le gente, la cui percezione natalizia corrispondeva solo alla doverosità delle consuetudini.
L'oscurità che avanzava aveva cacciato quasi interamente il giorno, quando Walter Zenz era ritornato dalla fermata del tram verso l'ospizio. Dalle finestre delle case addossate l'una all'altra il brillìo degli alberi di Natale luccicava. Due volte sentì cantare senza alcuna musicalità le canzoni natalizie. E tuttavia invidiò le persone che potevano festeggiare insieme il Natale in queste case. Giunto all'ospizio, sentì la voce alta di Max Krauser, che per l'ennesima volta riportava episodi di guerra lontanissimi. Walter Zenz registrava il riso stridulo della vecchia Schmitt, quando la sua attenzione venne attirata da un movimento vicino alla porta d'ingresso. Un animale grigio si stagliava sul bianco della strada ricoperta di neve. Un gatto, pensò.
Il suo interesse era destato, perché per quanto andasse indietro con i pensieri gli animali erano sempre stati suoi compagni. Era cresciuto con cane, gatto, due pecore e l'allevamento di conigli di suo padre, che si era specializzato nei Neri di Vienna. Con il padre andava ai grandi mercati agricoli settimanali, dove si comprava o scambiava ogni genere di piccolo animale. E a Natale, si ricordava ora, c'era per tutti gli animali una razione doppia di cibo: prima di scambiarsi i regali la sera della Vigilia la famiglia si riuniva, come era tradizione, nella stalla, e allungava a pecore e conigli pannocchie di granturco, carote e pane duro.
Con uno schiocco di lingua attirò l'animale. Il gatto si muoveva spaventato, sembrava che saltasse! Sopreso Walter Zenz si rese conto che non si trattava di un gatto ma - com'era curioso - di un coniglietto, un coniglio nano, come constatò da esperto. Questo era ben più che strano. A Pasqua l'animaletto avrebbe avuto anche la sua giustificazione ma a Natale? Dato che la bottiglia di vino rosso era ancora chiusa, non era certo un'apparizione causata dall'alcool. A chi apparteneva l'animale?
Allora gli venne in mente di aver visto in estate Karoline, la figlia del custode, nel giardino dell'ospizio con un coniglio e un maialino d'India. L'animaletto era, per chissà quale motivo, scappato. E sapendo che la famiglia del custode era partita per qualche giorno di vacanza, rapidamente si decise: improvvisamente gli fu chiaro che in questo giorno di Natale non sarebbe stato solo. Con attenzione sollevò il coniglietto, che era visibilmente contento di finire in mani calde. Un po' tremava mentre lo portava su in stanza.
Subito Walter Zenz scese nella cantina dell'ospizio, dove c'erano le dispense e fece quello che mai aveva fatto: rubò cose che non gli appartevano! Alcune patate, carote, mele e pane. Sapeva quel che ci volveva per il suo ospite natalizio.
Non solo le bucce ma le patate intere cucinò nella piccola piastra elettrica che aveva nella stanza. Tagliò i bordi al pane e lo mise sul termosifone perché seccasse prima. Durante tutte queste attività non dimenticò di accarezzare il coniglietto e giocare un po' insieme a lui. L'animaletto non era per niente timido, cosa che non sorprendeva perché infatti era cresciuto insieme a un bambino.
Walter Zenz era felice. Era una sera di Natale fuori dall'ordinario. La voce di un attore famoso raccontava alla radio la storia di Natale. Le candele sull'alberello ardevano e in una delle palline si specchiava il coniglietto, che ora sedeva sul divano e osservava l'anziano signore che stava preparando la cena per sé e il suo "coniglio di Natale".
C'è un punto sul Seefeldquai a Zurigo dove sugli scogli addomesticati dall'acqua, che contengono come un grosso tratto di matita l'estensione del lago, si ergono delle strane figure spesso antropomorfe, di sassi anch'esse. Un sasso poggia letteralmente su uno spigolo e ne regge un altro che lo tocca in un solo punto, come la tangente il cerchio; talvolta un terzo chiude l'acrobatica figura. Si creano composizioni sorprendenti che si stenta a credere plastiche, tutt'al più elementi astratti su una tela. Invece sono masse; ma masse che contraddicono la legge di gravità, che si tolgono nel momento in cui sono, se la forza di gravità è la mela che cade, è il peso della materia. Solo nel vuoto la materia non ha peso. Ueli Grass der Steinkünstler (l'artista dei sassi) attende quotidianamente alle sue composizioni perché capita spesso che si alzi il vento o un uccello vi si posi sopra, e allora il fragilissimo equilibrio si spezza, tutto frana, piomba in acqua, si fa di nuovo materia che pesa.
Ci si avvicina il più possibile curiosi quando una nuova figura viene ricomposta, per carpirne, increduli, il segreto, perché niente come l'occhio, per secoli il senso del peccato per eccellenza ma anche specchio dell'anima, metafora dell'intelligenza, ci permette di profanare e accapparrare, ci finge il possesso. Non si riesce a credere e si fruga in cerca di una spiegazione.
Queste masse smaterializzate hanno una forza simbolica immensa, risucchiano in un modo anomalo. La prima cosa che mi hanno dato da pensare è che, come diceva Spinoza, ciò che chiamiamo straordinario è in realtà l'ordinario che non possiamo vedere o conoscere, così come non potremmo mai conoscere l'intera catena delle cause, nella cui luce tutto apparirebbe "naturale" ("aber dies ist Sache der Götter"). I miracoli non sono meteore che giungono dall'altrove per stupirci, sono possibilità inscritte nella natura: ma possibilità di cui non possiamo rendere ragione, nelle quali esperiamo il limite del nostro occhio; per questo deus sive natura.
In questo caso il limite non sta in un'impossibile conoscenza, perché sappiamo che la materia è una forza, e che due forze possono vicendevolmente reggersi e concentrarsi nella punta di uno spillo, trovare un equilibrio. Da qui la fascinazione per i moti dei pianeti. Il limite sta invece nell'incapacità sensibile di rendercene conto, come accade per il sole che non possiamo non vedere ogni giorno sorgere e tramontare, in barba alla "vera realtà". Ma nondimeno la nostra angusta misura del mondo è misura di verità. La coscienza dell'abisso tra il sapere e il vedere lascia le cose come stanno.
Quello che mostrano queste figure di sassi rimane stra-ordinario: la cosa più pesante, più dura, più refrattaria, più terrena, più eterna si fa a tal punto leggera da non sembrare più materia. La legge è ancora presente, non c'è alcun inveramento o trasgressione della legge, nemmeno l'assoluto può scavalcare la legge che è ordine (l'assoluto è l'ordine), la legge rimane ma tras-figurata, com-presa, piegata al gesto violento ma sacro dell'artista. Figure e prese sono il nostro gioco, non possiamo che variare un tema. Che la natura matrigna si sottragga sempre di nuovo alle figure nelle quali ce l'avviciniamo, o che la natura intimamente tenda a rinascere insieme a noi, decide del carattere violento o sacro dell'arte; ma essendo la natura sempre al di là dei ponti che le lanciamo, e prendendo, quando accade, la parola in modi opposti senza giudicare, il carattere dell'arte rimane ambiguo, non deciso.
La legge dunque è ancora presente, ma non siamo in grado di scorgere il filo di equilibrio che tiene la materia in punta dei piedi, come sospesa al divertimento di un burattinaio che sembra calarla dal cielo. Non c'è segno di sforzo o artificio nella materia quando le si obbedisce. Le immagini del punto archimedeo sul quale sollevare il mondo o della chiave universale che permetta di aprire le stanze della memoria del Dio che ci sta sognando attingono al medesimo desiderio di far parlare docilmente la natura.
La perizia, il mestiere, quello che talvolta con termine e spregio antichi si chiama tecnica per opporla all'Arte del genio, creatore ex nihilo, è la via di umiltà necessaria per rendere docili noi stessi e in questo modo indurre docilità nella natura, e farla parlare come per la prima volta.
[segue...]
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