Da molto tempo cerco di afferrare l’essenza della pace che i conigli sono in grado di diffondere. Diffondere quasi come un profumo.
I sentimenti di materna tenerezza che essi risveglierebbero, secondo la caratterizzazione che ne dà la pet therapy, corrispondono a una visione del fenomeno simile a quella di una superficie increspata da un leggerissimo alito di vento. Esso – il fenomeno – resta impenetrato, sfiorato appena da un pensiero la cui debolezza è inversamente proporzionale alla propria passione. E la passione è la radice più profonda di ciascuno, non il ramo più esterno.
Quanto più osservo i conigli, tanto più mi appaiono simili agli yogi. In entrambi il respiro ha ritmi e suoni diversi, l’occhio è asservito a uno sguardo libero dalle cose, gesti e movimenti si esprimono nel corpo senza incontrare opacità di alcun genere, come dervisci che hanno saldato i conti con la forza di gravità. Trasparenze in azione.
Ma soprattutto entrambi hanno infranto la logica tecnica della pianificazione e dell’azione per la conquista: “rien faire come une bête, giacere sull’acqua e guardare tranquillamente il cielo, “essere e nient’altro, senz’altra determinazione e realizzazione” […] (T.W. Adorno, Minima moralia n.100).
Non porto citazioni per questa interpretazione dello yoga. Come ogni pratica ha bisogno di un’interpretazione vivente, il maestro. Ogni testo che voglia parlarne, commentando dottrine, accetta di farsi a propria volta commentare e non spezza il cerchio. Accetta una forma di condanna. Ma lo yoga è uno stato, non un credere né un fare.
I conigli mi ricordano gli yogi soprattutto nelle giornate tardoautunnali, in cui giacciono per lo più sonnacchiosi su stuoini, tappeti, divani, in riparati angolini, e i più fortunati su morbidi copriletti. Vantano un’ampia gamma di posizioni (asanas), a cui si accorda la respirazione, serrata, lenta, o irregolare. Perfino una diversa traccia sonora del respiro ed espressioni diverse dello sguardo. Come vengono rappresentati gli illuminati (bodhisattva), hanno talvolta l’occhio semichiuso, che da una parte guarda ignote lontananze, dall’altra sprofonda nella calma interiore. Talvolta l’occhio sonnacchioso e quasi chiuso nel sonno, spesso accompagnato dal lieve tremolio dei sogni.
C’è la posizione del capretto, delle gambe-indietro, della chioccia. Della sfinge con le sue varianti, a seconda della postura delle zampe posteriori (zampe avanti, testa rietrata, macina dei denti). Lo spiaccicato-a-terra nell’attesa o richiesta di coccole (testa allineata al pavimento, zampe posteriori alte). Poi l’omino e le posizioni di transizione: quel minutino in cui i conigli saggiamente di arrestano per meditare, dopo il quale iniziano magari a pulirsi, mangiare i ciecotrofi, o ad assumere la posizione sfingea per il riposo pomeridiano.
Se ci osserviamo mentre non stiamo facendo niente (ammesso che si trovi l’occasione per farlo), noteremo la tendenza alternata – prerogativa tutta umana – di contegno e svaccamento. Posizioni e movimenti nei conigli comunicano invece la leggerezza della grazia: una coesione interna involontaria che rende visibile l’invisibile senza mediazioni.
A ben vedere, i conigli quasi non cambiano posizione, bensì fluiscono dall’una all’altra, come fossero liquide sostanze che entrano ed escono nei limiti di una forma. Solve et coagula, coagula et solve, secondo l’antico motto alchemico. I conigli entrano in una posizione e poi ne escono repentinamente, si reimmergono nell’azione, sono l’azione per tornare poi a essere la posizione.
Il coniglio ha una particolare relazione con il quarto chakra, quello del cuore (anahata). Ad esso sono correlate come nutrimento le foglie verdi (il coniglio è erbivoro). E’ molto interessante che, mentre nel pensiero occidentale l’animale è pensato in rapporto alla ragione/linguaggio (logos) quale proprietà essenziale dell’uomo, nel pensiero orientale esso è inteso secondo il sistema delle “ruote di energia” (chakras) che costituiscono l’elemento fondamentale della comprensione fisico-spirituali degli esseri viventi. L’animale arriverebbe fino al chakra del cuore, inferiore sì rispetto ai successivi tre chakra superiori, ma in realtà luogo centrale di raccordo e riequilibrio per tutti e sette.
Poche righe, solo uno schizzo, e per una via un po’ bizzarra, per cercare di dire quanto sia fondamentale riuscire a collocare il rapporto dell’uomo con l’animale a un livello più profondo di quello utilitaristico che traspare dagli usi terapeutici. Ma non solo: anche il rapporto dello stesso animale con l’uomo, se ascoltiamo Lorenz che racconta che la sua gioia più grande era vedere come animali che, pur potendo scegliere la libertà, preferissero rimanergli accanto.
Siamo responsabili anche di “pensare” l’animale come della condizione senza la quale non è immaginabile occuparsi della difesa dei suoi “diritti”. E pensare l’animale senza fargli violenza, senza appiccicargli qualcosa di arbitrario addosso (qualcosa di astratto), significa paradossalmente, a mio avviso, rischiare di comprenderlo come un essere “vivo”, in relazione, capace di scambio e capace di essere nutrito, a suo modo, dallo scambio.
Barbara Bordato
AKA Susina